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Il Sigillo @ Sa Manifattura

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 Arrivo al banchetto e ritiro il biglietto. Con passo sicuro, senza esitazione.

Ornella coglie subito la mia distrazione: sono in fila per lo 𝘀𝗽𝗲𝘁𝘁𝗮𝗰𝗼𝗹𝗼 𝘀𝗯𝗮𝗴𝗹𝗶𝗮𝘁𝗼.

Sorrido, tento di salvare la faccia, e incolpo — con leggerezza — una lunga giornata di lavoro.

Ci incamminiamo verso la sala. Una trentina di volti sorridenti, accoglienti.

Mi atteggio ad autoctono perché la compagnia sa tanto di casa.

Mi sistemo per prendere appunti,

e la performance ha inizio.

 𝗦𝘂 𝘂𝗻 𝗴𝗿𝗮𝗻𝗱𝗲 𝗳𝗼𝗻𝗱𝗮𝗹𝗲 𝗯𝗶𝗮𝗻𝗰𝗼 𝘀𝗰𝗼𝗿𝗿𝗼𝗻𝗼 𝗽𝗮𝘀𝘀𝗮𝗽𝗼𝗿𝘁𝗶 𝘃𝗲𝗿𝗱𝗶, 𝘀𝗴𝘂𝗮𝗿𝗱𝗶 𝗽𝗶𝗲𝗻𝗶, 𝘀𝗼𝗿𝗿𝗶𝘀𝗶 𝗶𝗻𝗰𝗲𝗿𝘁𝗶.

Grate che si fingono prigioni. Occhi bendati.

#giguywassa e una danza che vibra.

Tanti colori, tante lingue, tanti corpi.

Poi, d’improvviso, qualcosa di magico attraversa la scena. Qualcosa di fin troppo familiare a chi è figlio di questo tempo di nostalgie del passato.

 Una chitarra e una giacca rossa.

 Un dittatore precario e un musicista boricua.

Alessandro posa con perizia le parole, una dopo l’altra, le stratifica, costruisce muri invalicabili, ostacoli grandi come macigni.

Poi rallenta, prepara uno sguardo, lo affila, lo punta sul mio petto e affonda. Senza un rumore, senza una incertezza.

 Satyamo è una voce che tradisce una vita fatta di scelte, di teatro vivo e vivente.

Si muove tra le lingue con naturalezza, ci prende per mano e ci guida tra le Torri di Babele e i vicoli assolati della vecchia San Juan…

 Ah! La Isla del Encanto!

Un messaggio chiuso in una bottiglia. Cocci sparsi che cantano la storia di un mondo frantumato. Una coppia forte come un vulcano…

E dal fondale: 𝗩𝗶𝘃𝗮 𝗹'𝗜𝘁𝗮𝗹𝗶𝗮!

 Sherlee e Abdoul mettono a nudo la propria fragilità e la loro forza.

Parlano del passato. Parlano di noi, lasciando un dubbio.

𝐒𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐩𝐫𝐨𝐧𝐭𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐟𝐞𝐥𝐢𝐜𝐢?

𝐒𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐩𝐫𝐨𝐧𝐭𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐥𝐞𝐭𝐢, 𝐢𝐦𝐩𝐚𝐯𝐢𝐝𝐢 𝐞 𝐦𝐞𝐫𝐚𝐯𝐢𝐠𝐥𝐢𝐨𝐬𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐫𝐬𝐢?

𝗡𝗼, 𝗻𝗼𝗻 𝗹𝗼 𝘀𝗶𝗮𝗺𝗼.

Ma una strada esiste.

Basta scegliere di 𝗻𝗼𝗻 𝘃𝗲𝗱𝗲𝗿𝗲 𝗰𝗼𝗻𝗳𝗶𝗻𝗶 𝗲 𝗱𝗶𝘃𝗲𝗻𝗶𝗿𝗲, 𝗶𝗻𝘀𝗶𝗲𝗺𝗲.

Mi allontano dalla sala con un nuovo passaporto e Ibrahim Ferrer che canticchia nelle orecchie.

𝘗𝘦𝘳𝘰 𝘴𝘪 𝘶𝘯 𝘢𝘵𝘢𝘳𝘥𝘦𝘤𝘦𝘳

𝘭𝘢𝘴 𝘨𝘢𝘳𝘥𝘦𝘯𝘪𝘢𝘴 𝘥𝘦 𝘮𝘪 𝘢𝘮𝘰𝘳 𝘴𝘦 𝘮𝘶𝘦𝘳𝘦𝘯,

𝘦𝘴 𝘱𝘰𝘳𝘲𝘶𝘦 𝘩𝘢𝘯 𝘢𝘥𝘪𝘷𝘪𝘯𝘢𝘥𝘰

𝘲𝘶𝘦 𝘵𝘶 𝘢𝘮𝘰𝘳 𝘮𝘦 𝘩𝘢 𝘵𝘳𝘢𝘪𝘤𝘪𝘰𝘯𝘢𝘥𝘰

𝘱𝘰𝘳𝘲𝘶𝘦 𝘦𝘹𝘪𝘴𝘵𝘦 𝘰𝘵𝘳𝘰 𝘲𝘶𝘦𝘳𝘦𝘳.

 𝗜𝗹 𝗦𝗶𝗴𝗶𝗹𝗹𝗼 — lo ripeto per la terza volta, e non trovo modo più autentico di dirlo — è un testo di una profondità rara.

Il tema dell’accoglienza,

spesso abusato (con una certa faciloneria), trito e ritrito,

servito in infinite variazioni,

qui si rinnova con 𝘂𝗻𝗮 𝗴𝗿𝗮𝘇𝗶𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝘀𝗼𝗿𝗽𝗿𝗲𝗻𝗱𝗲.

 Retorico con misura, mai stucchevole: è così ben costruito che è forte il desiderio di 𝗳𝗮𝗿𝗹𝗼 𝗽𝗿𝗼𝗽𝗿𝗶𝗼, 𝗿𝗶𝗹𝗲𝗴𝗴𝗲𝗿𝗹𝗼, 𝗿𝗲𝘀𝘁𝗶𝘁𝘂𝗶𝗿𝗹𝗼 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝘀𝗰𝗲𝗻𝗮 𝗮𝗻𝗰𝗼𝗿𝗮 𝗲 𝗮𝗻𝗰𝗼𝗿𝗮.

 Quattro persone speciali,

 quattro artisti che hanno tanto tanto da dire.

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